Affrontando l’argomento “donare” con un conoscente, non è insolito che l’interlocutore, magari piuttosto scettico, chieda: “Ma perché lo fai?”
La risposta non può che essere: “Donare sangue fa bene, anche al donatore, dal punto di vista sia fisico sia psicologico.”
Dal punto di vista puramente fisico questo gesto diventa un modo utile anche per tenersi continuamente monitorato.
Per essere donatori è ovviamente necessario essere in perfetta salute: controlli ed esami periodici sono parte costitutiva della medicina preventiva in quanto in tal modo viene tutelata la salute tanto del donatore quanto quella del ricevente.
Donare aiuta a rigenerare il sangue e ne aiuta il ricambio: con tale operazione vengono prelevati circa 450 ml di sangue pari al 10% dei 7 litri che scorrono nel corpo.
Dal punto di vista psicologico chi dona prende coscienza di se stesso come individuo e, nel contempo, è stimolato a mantenere uno stile di vita sano.
Il dono costituisce, inoltre, un investimento sul proprio benessere psico-fisico, accompagnato da ricadute indubbiante positive sulla vita sociale.
Il “dono”, studiato anche dall’antropologo Malinowski, docente presso la London School of Economics, è considerato un vero atto rivoluzionario. Circa cent’anni fa l’antropologo Malinowski, infatti, nel corso delle sue ricerche scoprì una società aborigena fondata sulla generosità. Per noi, invece, il dono o, se vogliamo, l’atto gratuito privo di ogni motivazione utilitaristica, costituisce una grande utopia, in quanto scardinamento della società delle merci e del profitto.
Chi fa regali alla fine ci guadagna sempre, non solo in termini di gratificazione. Il “dono”, infatti, è un investimento sul futuro, un contratto a lungo termine, come insegnano non un guru dell’economia, ma gli aborigeni delle isole Trobriand. La popolazione, studiata da Malinowski, del dare a piene mani ha fatto una vera e propria arte della convivenza, nonché la base della sua dottrina politica. In tal modo ha anticipato e di fatto ispirato le teorie contemporanee del “convivialismo” e dell’ “antiutilitarismo”.
Il dono, vero atto di estrema solidarietà, se ripetuto a scadenze regolari può generare in chi lo effettua un senso di reale benessere in quanto lo fa sentire meglio.
Recuperare un valore umano così prezioso e soprattutto socialmente riconosciuto dalla comunità cui appartiene è indubbiamente fonte di autentica gratificazione per chiunque offra spontaneamente il proprio aiuto al prossimo.
Il senso di appartenenza che si sviluppa tra donatori costituisce un altro aspetto ugualmente positivo dal punto di vista psicologico. I donatori si ritrovano periodicamente nei centri trasfusionali e nei luoghi di aggregazione delle Avis, desiderosi di aiutare chi ha davvero bisogno e, perché no?, di trascorrere momenti felici e spensierati durante le attività proposte dalle Avis.
Alla domanda, quindi, perché tu doni, che cosa risponderesti?